Nella mia vetusta carriera ludica ho sentito chiamare i giocatori con una varietà di nomi estremamente ampia, alcuni a mi avviso belli: Hardcore Gamer solo per citarne uno. Altri degni di merito (almeno per la fantasia), per esempio Noob o la sua italianizzazione Nabbo o Niubbo ed altri decisamente orribili e senza senso tipo Conscious Gamer - Conscius di cosa? Forse del fatto che ormai siamo in balio ad una industria che produce nel 99% dei casi giochi clone o che la verve creativa di molti sviluppatori e piegata a i dogmi del motto “vendere a tutti costi”. Certamente non possiamo dimenticare Nerd un must che sembra ormai tornato di moda, anche se con un significato completamente apparentemente stravolto ed ultimo ma primo come importanza, il nome che ha un in buona parte caratterizzato questa generazione di giocatori, Casual Gamer. Fra tutti questi nomignoli credo ne manchi all’appello uno che non e mai stato coniato, (penso) ma che secondo il mio più che modesto parere rappresenta la descrizione perfetta di questa nuova generazione di videogiochi è di video giocatori, il nome è EGO GAMERS!!!
Ora molti di voi ora si staranno chiedendo Ego perché?

Per rispondere a questa domanda vorrei fare il punto su due dei fattori che hanno condizionato in modo particolare questa (ormai al tramonto) generazione di Console. Qui le migliaia di giocatori affezionati al PC probabilmente penseranno che e un discorso che non lo comprende, ma non si può negare l’evidenza, mai come ora gli scambi di titoli tra queste due piattaforme, (che solo fino a pochi anni fa sembravano cosi distanti) siano floridi e vivi. Per riprendere il filo di questo prolisso discorso vorrei parlavi solo per un attimo di Bioshock Infinite, certamente un capolavoro, che racchiude dentro di se qualcosa di molto particolare. Non voglio assolutamente entrare nei soliti discorsi pseudo recensivi, dei suoi meriti e difetti, ma in questa sede voglio parlarvi del 1999 Mode.
Si tratta di un livello di difficoltà aggiuntivo che mette il giocatore difronte a una sfida molto superiore a quella impostata nelle modalità classiche. I nemici sono molto ma molto più reattivi, le munizioni scarseggiano e si può affermare che tutto l’impianto ludico, abbia subito una impennata sostanziale nella difficolta, rivoluzionando drasticamente l’approccio che il giocatore e obbligato ad utilizzare per riuscire a raggiungere l’agognato finale. Ed e qui che finalmente il mio pensiero viene scosso: girovagando per la rete leggo la che la motivazione vera del nome di questa modalità (1999 appunto) è dovuto al fatto che nella stessa si sia utilizzato un livello di difficolta paragonabile ai videogames anni novanta (da cui il nome della medesima), cioè la oggi modalità ultra difficile di Bioshock non e nient’altro che la modalità normal di Sistem shock 2 (proprio per citare Levine) e della media dei videogiochi di quell’anno.
Sistem Shock 2 resta ancora saldo nei miei ricordi, sarà per la sua meravigliosa atmosfera o il suo Gameplay mai noioso. Un titolo difficile anzi, decisamente difficile (ok ora basta usare la parola difficile) ma non impossibile. Magari Levine esagera, la modalità 1999 di Bioshock Infinite è un filino troppo cattiva. Ma di fatto è innegabile che la difficoltà generale della quasi totalità dei videogiochi, di questa generazione, sia tarata verso il basso se confrontata con quella degli anni passati. Il grado di sfida è stato man mano addolcito per andare a favorire i gusti dei giocatori più casual che tanto disprezzano gli Hardcore Gamers. Ma oggi è d'obbligo, buttare sul mercato giochi nettamente più facile di quelli usciti negli anni 90 in modo da poter raggiungere quel bacino d’utenza che ne permetta di massimizzare le vendite su larga scala.
L’altro fattore che nel bene o nel mane caratterizza questa generazione di videogiochi è la spettacolarizzazione. Il giocatore si trova a vivere, grazie ad hardware decisamente perforanti, un grado di immedesimazione capace di rapire il povero gamer. Le sessione vengono riempite con momenti epici a non finire: corse all’ultimo secondo per salvarsi la vita, battaglie vissute a suon di rocambolesche esplosioni degne dei miglior action movie anni 80, situazioni al cardio palma in ogni dove. Questi due punti che vi ho elencato hanno contribuito a creare una nuova generazione di videogiocatori, che affacciandosi solo recentemente al mondo videoludico (perciò indipendentemente dall’anno di nascita) è avvezza soltanto allo spettacolo senza compromessi.


Mi chiedo dove ci porterà questa strada, forse verso l’agognato (non da me sia chiaro) film interattivo? Un videogames per essere considerato tale deve aver bisogno di un egual bilanciamento fra gameplay, grado di immedesimazione e difficolta? Ecco la risposta alla domanda di prima, gli EGO Gamer sono tutti quei giocatori che ormai non sono più avvezzi alla sperimentazione ma sono una massa informe abituata da questa industria a vivere esperienze spesso ridicolmente brevi, senza poter gustare il minimo grado di sfida. La cosa decisamente più divertente è che a loro sta bene così, stralipante com’è il loro ego di situazioni bellissime da vedere ma praticamente nulle sotto il profilo della difficolta. Non mi piacciono i giochi che si finiscono da soli senza la minima sfida, certo amo le esperienze visive, giochi come Journey o Flower solo per citarne due, sono dei piccoli grandi capolavori: vere e proprie forme d'arte che si avvicinano prepotentemente al considerare il videogioco una forma artistica a tutti gli effetti. Ma se da un lato abbiamo questi titoli prettamente artistici dall’altro lato della bilancia abbiamo migliaia e migliaia di esperienze costruite solo in nome del Dio denaro. Osservare marche blasonate come Ativision, EA ma anche Capcom che producono giochi incentrati non sulla qualità ma sul commerciale, sta diventando a mio modo di vedere una delle cose meno divertenti che questa industria possa dare.

Quello che voglio dire con questo mio lunghissimo sproloquio è che il nostro media - essendo abbastanza giovane - se confrontato con suo fratello maggiore il cinema, può avere a disposizione un fruitore più attento e giovane di interesse, capace di comprendere quello che il mondo ludico ha di meraviglioso da offrire. Dovremmo ribellarci a quelle software house che ci propinano il solito gioco clone e cercare di indirizzare il nostro interesse verso quelle perle (magari non raffinatissime nel game play e nella qualità audiovisiva) che ogni anno nascono dalla mente di persone che amano questo media senza però pensare al vile Dio denaro. Non permettiamo alle major di plasmarci in EGO Gamer ma cerchiamo di obbligarle a produrre più titoli di qualità: basta con il Call of Duty copia incolla o il Battlefield clonazzo. Io dico, evviva l’arte videoludica di prodotti come Ico o il più recente Papo e Yo.
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